La relazione medico-paziente è una relazione importante e delicata nella quale vengono riversate enormi aspettative. D’altronde stiamo parlando di mettere nelle mani di qualcun altro la salute della nostra persona.
Si tratta di un rapporto particolare poiché presuppone piena fiducia tra due persone che, fondamentalmente, non si conoscono.
Fino a qualche anno fa si considerava tale rapporto come costituito da una relazione asimmetrica tra le parti: il medico da un lato era colui che solo aveva i mezzi e le informazioni necessarie alla cura e il paziente era considerato solo in quanto parte vulnerabile della relazione. Tale asimmetria prevedeva quindi che il paziente si dovesse affidare ciecamente al medico.
Negli ultimi anni invece tale asimmetria è stata messa sempre più in crisi. Da un lato la crescente fruibilità delle informazioni, anche attraverso i principali motori di ricerca online, ha portato il paziente ad anticipare la diagnosi mettendo in dubbio spesso l’opinione del professionista.
Dall’altro lato però anche la consapevolezza che solo attraverso la co-partecipazione del paziente al suo processo di cura garantisce l’adesione al trattamento e la sua conseguente efficacia, ha fatto insorgere la necessità di lavorare in un’ottica di co-operazione. Si punta cioè a costruire una relazione che sia sempre più simmetrica tra le due parti.
Aspetti pragmatici della comunicazione nel rapporto medico-paziente
Una relazione simmetrica è basata sulla piena compartecipazione delle parti, in questo caso appunto del medico e del paziente. Ecco che alla base dell’instaurarsi di una solida relazione l’aspetto della comunicazione non può non essere tenuto in piena considerazione.
Comunicare vuol dire essenzialmente: mettere in comunione.
L’obiettivo di un processo comunicativo deve essere quello di creare uno spazio condiviso tra i due partecipanti alla comunicazione dove le informazioni siano comprensibili da ambe le parti e dove i messaggi trasmessi vengano recepiti con facilità.
Ecco come diventa importante lavorare sulla comunicazione tra medico e paziente. Al di là dei tecnicismi e delle paure che possono contrassegnare la “lingua” specifica dei due interlocutori, obiettivo diventa quello di trovare una lingua in comune.
Il professionista deve imparare a “parlare la lingua del suo paziente” cercando di avvicinarsi sempre più al suo mondo e alla sua storia. Il paziente dal canto suo deve sentirsi di poter essere ascoltato così da potersi effettivamente affidare al medico nella gestione della sua cura.
Comunicare bene diventa quindi la base della buona riuscita del processo terapeutico, senza la quale non si può riuscire a lavorare completamente.
ll rapporto empatico, la disposizione all’ascolto e l’accettazione incondizionata
Riuscire a lavorare sulla relazione vuol dire lavorare sulle proprie competenze empatiche. L’empatia è la capacità di riuscire a sintonizzarsi con l’altro e a costruire insieme una visione condivisa.
Fondamentale per costruire un rapporto empatico è la disposizione ad ascoltare da un lato e ad accettare incondizionatamente di affidare la propria persona ad un’altra per la salvaguardia della propria salute, dall’altro.
La capacità di ascoltare deve essere un requisito fondamentale di qualsiasi professionista che si occupi di salute umana. Ascoltare vuol dire essere presenti, rielaborare attivamente quanto riferito e confrontarsi costantemente. Errore comune, derivato dall’esperienza, può essere quello di considerare i sintomi del paziente e in base a quelli subito tracciare il profilo diagnostico e la possibile terapia.
Invece ogni sintomo deve essere considerato come elemento di approfondimento della storia specifica del paziente.
Ogni paziente è un mondo a sé stante inevitabilmente ogni sintomo deve essere letto ed inquadrato in base alla specificità dello stesso.
Solo con un ascolto così profondo il paziente avrà la possibilità di sentirsi realmente accolto all’interno della relazione e potrà sentirsi libero di esprimersi certo di essere preso “sul serio”.
Le diverse modalità di relazione medico paziente
Non tutte le relazioni sono uguali, chiaramente. Quella tra medico e paziente, come abbiamo già avuto modo di mettere in evidenza, è a tutti gli effetti una relazione delicata ed assolutamente eterogenea.
Non esiste un manuale d’istruzione, non esiste uno schema predefinito. Esistono però dei principi di base utili per ottenere la famosa buona “compliace terapeutica”, ovvero l’aderenza alla terapia da parte del paziente.
Tra questi principi abbiamo già avuto modo di sottolineare l’importanza della comunicazione e dell’ascolto attivo e partecipe, chiave per costruire una relazione empatica.
L’importanza poi di considerare il sintomo portato dal paziente all’interno della sua narrazione, della sua storia personale.
L’importanza di effettuare una buona anamnesi andando a “scavare” quanto più in profondità viene concesso dal paziente stesso.
Nell’anamnesi (primo colloquio) si devono tracciare le linee del percorso che si dovrà poi sostenere, è il colloquio nel quale si pongono le basi per la costruzione del rapporto medico-paziente. La regola base in questa fase è il famoso detto: leader è chi domanda. Ovvero non dare mai per scontato nulla e fare quella domanda in più per avere l’informazione così come direttamente recepita dal paziente stesso e non come intuita dal professionista.
L’importanza, infine, di rielaborare più volte insieme quanto appreso, quanto emerso a livello diagnostico e quale quindi il percorso possibile.
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Come affrontare al meglio la soluzione del problema diagnostico
La diagnosi è forse il momento più cruciale della relazione medico- paziente. Il momento in cui si comprende l’entità di quello che si sta portando avanti, momento nel quale quindi viene messa a dura prova la fiducia tra le parti. Più il rapporto è onesto, diretto e trasparente, più facile sarà affrontare questo momento.
Il momento diagnostico apre ad una marea di quesiti nella mente del professionista: come riportare la diagnosi? Come far comprendere la terapia? Come gestire le resistenze? Come contenere la paura? Sì perché la diagnosi fa sempre paura.
Ecco che anche in questo caso vale il principio della buona comunicazione: ascolto, rielaborazione partecipata, condivisione, queste le parole chiave da tenere a mente.
Per affrontare al meglio il “problema della diagnosi”, ovvero del suo impatto, è importante considerare il paziente in tutta la persona, metterlo al centro del momento accettando le eventuali legittime paure e consentendogli di raccontarsi il più possibile.
Conclusioni
La relazione medico paziente è lo specchio di una relazione come tante con la differenza sostanziale che resta quella necessaria divisione di ruoli che mantiene l’asimmetria tra le parti.
Però proprio in quanto relazione è estremamente delicata, necessita di continui adattamenti ed è da considerarsi in chiave evolutiva. Funziona fino a quando medico e paziente mantengono attive dinamiche comunicative alimentando la fiducia e il rispetto reciproco, andando così conseguentemente a confermare ed accettare i differenti ruoli.
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